Kane

K “Vedi J, io so che mia madre è più santa che puttana. Come potrei offendermi se chiunque sostenesse il
contrario?”
J “Capisco, ma penso stessero ridendo di me”
K “Cosa sanno su di te che tu non sai?”
J “Nulla”
K “Infatti”
J “Grazie K”
Kane è molto ricco, infatti canta spesso quando è in bici. K però non canta bene.
Canta anche sotto la doccia, ma quello non è segno di ricchezza ma di leggerezza, K non è leggero, sa
esserlo, ma non lo è. In bici gli capita anche di fischiare e anche quello è segno di ricchezza. K fischia meglio
di quanto canti e fa innamorare la gente, non di sé ma tra loro. E’ molto bravo a farlo. Non sono sicuro che
sia ricco per questo, ma so che essere molto bravi a farlo dovrebbe rendere ricchi. K non ha un’agenzia di
incontri e non ha fondato una startup con il medesimo scopo, K suona. Quando K suona finisce sempre che
qualcuno si innamora, magari male e quindi poi soffre, a volte bene e finisce che i due ballano insieme al
loro quarantesimo nudi. Suona e la gente finge di divertirsi ma sta solo cercando di innamorarsi, lui lo sa e
prova a fare il suo lavoro.
K è una quelle persone con cui non vorresti fare a botte. A vederlo K è bello, ma non è che non ci vorresti
fare a botte perché è bello. Non ci faresti a botte perché è buono. E non è che non ci faresti a botte perché
è buono. Non ci faresti a botte perché hai paura, perché la cattiveria dei buoni è nera.
Tra l’altro K è grosso, è così grosso che se fosse un animale sarebbe un orso, invece è kane.

Abbastanza
K ha molti amici e vive in un mondo abbastanza giusto. Giusto perché gli sta dando la possibilità di vivere
usando il suo talento. Abbastanza perché quella possibilità non l’ha data a tutti. K convive abbastanza bene
con questo abbastanza. Tra i suo vari amici ce n’è uno un pò scemo: J. Questo perché J ha un talento che
non esercita, o che non esercita abbastanza da equilibrare il mondo e smussare il primo abbastanza. Sono
amici da sempre e non litigano praticamente mai. Non è facile litigare con K. Se ha ragione te lo spiega e tu
capisci. Se non ce l’ha se ne accorge e ti offre una birra. A volte te la offre anche se ha ragione.
K suona nei locali, J lo fa suonare nei locali, J ha un’agenzia, più che altro è una grossa azienda che
comprende anche un’agenzia. J l’ha fondata qualche anno prima con un po’ di soldi che ha trovato e con
un’idea. Una di quelle che magari il mondo non lo cambiano ma il quartiere si, poi magari la città e quella
vicina e così via. Quell’’idea ora non è importante.

Abbastanza confini
Sono amici da anni, hanno condiviso solo una ragazza, una volta e solo per sbaglio. Lo sbaglio è del tutto
imputabile a lei che aveva insistito, li voleva tutti e due e li ha persi entrambi. E’ una storia che non
raccontano spesso. K stava suonando su un’isola, una di quelle che se ti ritrovi in spiaggia con la luna piena,
ci puoi scorgere la presenza di Dio. Non era ancora tramonto, c’era già molta gente ma nessuno ballava.
Però tutti brindavano. Anche K brindava. Non è vero, stava sorseggiando dietro la console, che si porta
dietro solo per le occasioni importanti e che più che una console è una regia. La cosa più assurda della regia di K è che tutti quei tasti e manopole e input e output servono davvero a qualcosa. K conosce lo scopo di
tutti quei circuiti. Per questo è un professionista, ma non per questo è bravo. Altro è a renderlo tale. Non
brinda, ma ha un bicchiere, mezzo pieno. La parte mezza vuota è piena di ghiaccio che conta comunque,
quindi il bicchiere è pieno. La filosofia di K è nitida, il bicchiere è pieno.
Ha portato la regia perché è un’occasione importante. Non per la serata in sé, che fa parte di un evento più
grande, ma perché è la serata conclusiva del primo evento procurato da J. K voleva fare bene, ha fatto bene
e vuole festeggiare quindi sorseggia. Non c’è molta differenza per lui se la serata è stata commissionata da
Bill Gates o dal vicino di casa; essendo però commissionata da J,K ha una spinta in più, che non è l’impegno
o il fare bella figura con l’amico, la spinta è dettata dal divertimento, che per lui e per Italo* è una cosa
seria.
K suona e sorseggia e vede l’amico parlare con una ragazza. E’ bionda, ha occhi nocciola e sopraccigli folte e
scure, un viso con dei contrasti. Ha un vestito corto, azzurro, potrebbe essere seta, ma magari è di Zara,
comunque non porta il reggiseno. K il seno sotto la scollatura lo conosce. Quella mattina, lui correva e lei
passeggiava. Erano entrambi su quel confine dove mare e sabbia si raccontano storie, vestita solo degli slip,
di cui non ricorda il colore. Ricorda che con i piedi tracciava segni, ricorda il seno e delle lentiggini vicino al
naso leggermente aquilino.
Oltre alla particolare bellezza di lei K sta guardando J, cercando un contatto. L’amico sembra rapito ma non
abbastanza da non notare il cenno di K. J capisce e porta la ragazza dove finisce la calca di gente e inizia la
pista in una serata non ancora iniziata.
K è bravo perché guarda la gente, ne capisce una buona parte e lavora su quello. Ha già visto abbastanza
della ragazza da capire che lei vuole ballare. Il genere importa poco, quello che importa è l’equilibrio tra
bassi e alti e per lui quell’equilibrio è un talento che non ha nessuna intenzione di sprecare, K conosce il
gioco dei beats. Alza una leva e nella ragazza si accende qualcosa. J non balla male, balla come ballerebbe
un cedro nel momento prima dell’ultimo colpo di accetta, prima dell’abbattimento.Non si capiscee infatti nessuno abbatterebbe un cedro. Così J balla e nessuno sa quale sarà la sua prossima mossa. Lei invece balla
come ballano tutte le belle ragazze senza reggiseno, bene.
La gente è avida, specialmente gli uomini e infatti la pista si riempie subito. Rimangono solo quelli che
preferiscono gli scampi appena portati al buffet.
La serata inizia con lei che balla, altri anche, e con che J si muove. Come tutti gli inizi, specialmente gli inizi
di serata, mentre si scatenano forze a cui diamo nomi approssimativi, ne inizia anche la fine. Ormai K ha
esperienza e sa che lo svolgersi è più importante del prima e del dopo come dei confini importa più che
altro quello che ci passa in mezzo. Il difficile dei confini è accorgersi che esistono anche prima di averli
attraversati. Così la serata verte alla fine e K può finalmente smarmellare. Su 300 persone almeno 3 si sono
innamorate, forse 5, non ne è consapevole e ha bevuto troppo per pensarci al momento. Di Charlotte sa
tutto quello che sapeva prima, più il fatto che è Siciliana e che le piace la musica alternativa, qualunque
cosa significhi. Lo sa, perché la ragazza ora che la pista è mezza vuota balla più di prima alle note dei Pixies
e a K ora inizia a piacere, abbastanza da piacergli un po’ troppo. Non troppo da mandare tutto a puttane
per lei ma abbastanza da andarsi a sedere di fronte a lei e J che sono stati vicini in quelle ore, non
abbastanza vicini da essere spariti insieme, ma abbastanza vicini da cuocere l’amico.

Abbastanza confini e 7 passi
Sulle mappe distinguere i confini è facile, per strada puoi notare i cartelli o imbatterti in una dogana o
peggio in un muro, in un bosco non c’è modo di capire se sei in Piemonte o in Liguria, se prendi un volo
intercontinentale lo sai e basta, nella vita invece è difficile.
J e Charlotte sono su una sdraio, K vorrebbe sedersi ma non sa dove.

Volendo si potrebbe tracciare una retta che parte da dove il culo di Charlotte si appoggia alla sdraio e
attraversando il centro esatto della terra sbucherebbe dalla parte opposta del mondo, oceano Pacifico, la
terra abitata più vicina a quel punto sarebbe l’isola di Hoau, Hawaii. I confini nelle isole sono più facili. K
vorrebbe sedersi in un qualche punto di quella retta, magari vicino a Charlotte. Se ora fossero su quell’isola
americana e non li dove sono, non cambierebbe assolutamente nulla. Forse non sono così importanti tutti
quei confini. K inizia a pensare di sedersi su una retta parallela a quella, ma sa che facendolo non
incontrerebbe mai quella su cui sono seduti loro. Sceglie di sedersi a sinistra di Charlotte che rimane in
mezzo ai due. Charlotte si volta verso J lo bacia in bocca, qualche secondo poi si alza, e nel farlo prende la
mano di K, la stringe e lo solleva come se K non pesasse 90kg ma 9 e volge il suo passo verso il boschetto
che dove finisce inizia la spiaggia. K non guarda J perché sta guardando stupito i suoi piedi seguire il passo
di lei. Come in una rivelazione si vede immerso nell’acqua tiepida di una notte che ha assorbito tutto il
caldo del giorno, immerso con lei che si è spogliata passo dopo passo tra il bosco e il mare. Verso il quinto
passo K inizia a canticchiare “Where is my mind” Lei si volta e sta davvero appoggiando la sua canottiera ad
un ramo, lo guarda e sorridendo:
“Suoni meglio di quanto canti”.
Al sesto passo K si accorge di un confine a metà spiaggia che di giorno non c’è, in quel momento Charlotte
si è fermata e gli sta sbottonando la camicia. K non è sicuro che sia una buona idea attraversare quel
confine ma ha molta voglia di farlo. Per decidere usa quello che ha: l’immagine che gli si è apparsa poco
prima e a cui tutto sembra tendere e la leggera brezza che, privato della camicia lo investe. Al settimo
passo, l’ultimo prima di gettarsi in mare lo aiuta la rivelazione di come il cielo offra il suo mistero a migliaia
di anni luce da li, mentre il mare lo sveli subito sotto la superficie, da cui esce ansimando nonostante
l’apnea brevissima.
Sbuca anche lei, sirenetta abbastanza moderna da ballare tutta la musica del mondo ma abbastanza
sofisticata da preferire i Pixies e lo bacia, come aveva fatto con J poco prima. K si lascia baciare e voltandosi
per tornare dall’amico gli viene in mente quale fosse l’idea alla base dell’azienda di J. Prima di pensarci
seriamente guarda le scarpe scomposte sul confine che prima non c’era e che ora non c’è più. Ormai al
bosco recupera la camicia solo per asciugarsi male. Arrivato alle sdraio vede J gomiti alle ginocchia, mani
sulla testa. K ora ci pensa seriamente e vorrebbe una birra perché: è difficile non fondare mai un proprio
piacere sul dispiacere altrui, ma è bello.
Non so come sia messo K a fede, ma so che è fedele ed essendo Kane ora scodinzolerebbe; non avendo
coda strappa la birra dalla mano di J che aprendone un’altra chiede serio:

“Lo sapevi che Kane in Hawaiano significa Uomo?”

TraM

Hangover

Già che queste dita stiano brancando la tazzina è di buon auspicio. Ho imparato proprio ieri a non dare tutto per scontato. No, imparato è troppo, ci sto solo provando e a volte mi riesce. E’ una cosa difficile, come i tiri ad effetto, difficili spettacolari ed efficaci, se ti riescono. Spero solo di avere un euro in tasca, spero che il caffè costi un euro e spero che le mani riescano a gestire il pagamento senza fare disastri. Sperare invece mi viene naturale, un talento quasi nessuna fatica per impararlo. Esco e il caffè ci mette un pezza in questa mattinata sbucata da poco sonno e troppe birre.

E’ il classico inizio di un lungo giorno e non sono pronto ma vado. L’idea è andare a trovare Marta a Milano, una sua amica si sposa e io vorrei sposare Marta. Il piano è dirglielo.

Non sono bravo con i piani.

Presagi

In treno pensi, non puoi fare altro. In macchina anche pensi ma tra una curva e una frenata, in treno puoi solo pensare, o leggere, o scorrere i social, ma non subito, prima devi pensare e ancora prima devi ascoltare le conversazioni se ce ne sono. Non è una cosa che puoi scegliere, è così che funzionano i treni, se piove e stai correndo nudo ti bagni. Se sei su un treno e qualcuno parla tu ascolti, specialmente se quel qualcuno, placido come uno stagno dice che sta studiando sia il cinese che il giapponese. Ascolti pensi, viaggi ed a una certa quasi sempre arrivi. Vi assomigliate tu e i treni, puntuali a volte, arrivate quasi sempre. La cosa migliore da fare una volta arrivati è scendere, hai pensato seduto e ora sei altrove ed in piedi continui a pensare, ma questo pensare è più un guardare, in giro, le persone. Le espressioni all’arrivo hanno sempre un qualcosa di serio, di risolto di completato, probabilmente hai la stessa espressione anche tu. E’ una tarda mattinata di Sabato a Milano, non servirebbe tutta questa compostaggine, a meno che tu non abbia quella domanda difficilissima in testa. Mentre scendi disinvolto i 100 gradini della stazione concludi che la risposta dovrebbe essere facile.

A Milano ci sono troppe anime e troppe macchine e va benissimo così. Dopo le 2 ore di treno la cosa migliore che ti possa capitare è camminare. Il cielo è azzurro, oltre i palazzi nuvole che presuppongono un temporale che poi magari non verrà. Camminare mi riesce facile come sperare e io sto sperando che fare quella domanda sia una buona idea. Non è tanto la risposta a preoccuparmi, un no lascerebbe tutto com’è, più o meno, un si che immagino essere la risposta che vorrei, implicherebbe invece cambiamenti così sottili e definitivi, che sono disposto ad accettare, è prorpio questo il punto immagino. Decidere di legarmi ad una persona promettendolo al cielo e accettarne le conseguenze. Alla domanda si aggiunge un’altra domanda: perché?

Perché non posso godermi il week end con Marta in totale leggerezza? Non ci vediamo da qualche giorno, dovremmo trovarci in zona aperitivo per parole dolci e un abbraccio per poi separaci e ritrovarci per fare l’amore in una stanza affittata. Lei ha questa festa e io ne approfitto per salutare qualche amico, che non vedo da mesi e che mi sembrerà di aver salutato ieri. Perché ora complicare tutto con la domanda? Sono partito da poco e la convinzione granitica di ieri ora è fango sotto le scarpe. Cammino e mi innervosisce la totale indipendenza del cervello dalla volontà. Insomma. Libero da tick nervosi il mio corpo risponde bene agli stimoli, respiro senza farci caso ma posso smettere per un po’ se voglio. Corro e posso accelerare se voglio sudare di più; vado d’accordo anche con il cervello che se è in forma mi permette addirittura di non pensare all’orso bianco, se mi viene chiesto di non farlo*. Ma a volte si lascia permeare di una qualche idea e subito si lancia in guizzi che mi lasciano li ebete a osservarne il corso, inerme mentre l’dea diventa vera come quel semaforo.

E’ presto, la serata di Marta inizierà molto più tardi, Milano è un cerchio e se hai qualche soldo e pochissima fretta è un piacere attraversarla. La domanda è così definitiva che non sapendo cosa sperare inizio a pregare, senza un mantra cammino e cerco presagi. Compro acqua al chiosco e spero l’indiano sorrida, non sorride quindi elimino il presagio. Fa parte del loro bello decidere quali tenere e quali no. Per quanto riguarda i presagi vale davvero tutto. Superando la fermat\na del tram una signora tiene in mano la borsa di cartone di un supermercato con impresso un enorme SI rosso. Mi volto a guardarla e la sua espressione è un vuoto cosmico, questo lo tengo comunque. Una ragazza carina mi chiede d’accendere e tengo anche questo. Un ragazzo scuro e serio mi chiede se voglio dell’erba e questo non lo so proprio interpretare. Guardo l’ora sul telefono, subito dopo me la dimentico, comunque non presentava altre notifiche. Io e il temporale ci stiamo venendo in contro e la cosa non ha la minima importanza forse però Marta si lamenterà dell’inutilità delle 2h dal parrucchiere in caso di pioggia. Ha una splendida autoironia in questi circostanze, anche se ne uscirò con la sensazione che sarà stata un po’ colpa mia. Come se l’avessi ordinato io il temporale su Amazon, e avessi sbagliato data.

Potrei chiederlo a bruciapelo: “Ciao Marta ci sposiamo?” Ma no. Potrei comprare delle rose inginocchiarmi e tutto il resto, ma no. Lei dice che anche quando provo a vestirmi elegante conservo sempre qualcosa di trasandato. La cosa inizialmente mi offendeva anche in principio, poi meno, ora mi piace. Sicuro inginocchiato con le rose farei casino. La parte più pigra di me lascerebbe fare alle rispettive serate con i vari condimenti alcolici e sarebbe incredibilmente più facile, una volta in stanza, festeggiare un si rotolandoci nudi. Questa soluzione dilanierebbe il mio cervello per tutta la serata e non sono così arrabbiato con lui. Quasi a metà percorso e non ho idea sul come fare. Una vocina mi suggerisce che potrei anche non farlo, ma quella vocina sibila e quindi non la ascolto. Non ora che è Sabato e tra me e Marta ci sono ancora una ventina di rotonde, una cornucopia di semafori, strisce, anime e le nuvole del temporale che sembrano essersi fermate.

In una relazione, esclusa la prole, l’unica responsabilità dovrebbe essere la felicità reciproca o qualcosa del genere. Se ti piace qualcuno puoi costantemente scegliere di farle del bene, renderla felice. In amore invece non puoi scegliere, non più. TI sei accorto dell’amore per Marta la prima volta che l’hai delusa, il suo allontanarsi triste con la coda che ciondolava meno di quando ciondola felice. La sua delusione non era fondata, in realtà l’errore era più suo che tuo perché controllarti il cellulare dopo un paio di settimane di uscite è sleale. Mentre la insegui questa cosa importa pochissimo, nemmeno la sai, la capisci solo mentre le farnetichi scuse a caso e realizzi che la sua tristezza è diventata la tua. Insolitamente rapido capisci che quindi anche la sua felicità è diventata la tua e Marta quando è felice è così bella che nemmeno le altre più belle di lei sanno essere così belle.

Lezione

Sono le tre e io sono di fronte a SanBabila, non la piazza ma la chiesa. Entro e se la piazza era piena la chiesa è vuota ma non del tutto. Mi stupisce un ragazzo giovane in ginocchio su una panchina, una bella signora in piedi in un angolo e un prete che cammina avanti ed indietro parallelo all’altare ma in fondo vicino all’ingresso dove sono io. Lo spazio deve essere più o meno lo stesso di quello dedicato ad H&M li di fianco, con molto più legno e quadri e statue e i vetri non sono molto più colorati, ma sono colorati meglio; c’è anche più silenzio che spesso è più un pieno che un vuoto. A prescindere dal tuo credo questo posto si presta a pensare, anche più dei treni. Per il silenzio, appunto. Volendo pensare e volendo sposarla essere in chiesa ora è perfetto. Mi inginocchio chiudo gli occhi e prego un consiglio. Qui, ora la vibrazione del telefono è quasi più fastidiosa della traviata in 16bit, mi alzo esco e rispondo, sorrido, era Marta ma ha già riattaccato. Rientro mi inginocchio e ringrazio. Serve davvero una trave in un occhio per non vedere certi segnali eppure capita anche di prendere l’autostrada in contro mano. Sono fuori e la richiamo, risponde e la sua voce è così contenta che mi vergogno. Mi chiede dove sono ed è felice che io sia in città, ma quello che la rende veramente felice è il mangiarsi il gelato con la nipote. Le dico che sono felice che sia felice e che ci si vede tra un po’ al bar per dimostrarcelo. Mia nonna diceva che c’è da vergognarsi solo a fare del male, ma io qui fuori da questa chiesa mi vergogno perché se le persone mi guardassero vedrebbero la mia felicità e mi sentirei nudo, per fortuna qui le persone guardano solo le vetrine.

Cammino ed ho sete e dopo il sacro viene spesso il profano quindi in Duomo mi fermo in un bar che è brutto abbastanza per non attrarre turisti, chiedo una birra e il bagno che si rivela al terzo piano di un locale strettissimo dotato di una terrazza piccola e splendida che credo di essere l’unico a conoscere in questa città. Io e il gruppetto di ragazzini con le siga e il capello in punta di testa, tamarri abbastanza da spingermi a preferire il marciapiede fuori dal locale per dissetarmi comodo. Mi stupisce scoprire solo ora questo posto, ora che non vivo più in città. Capita spesso di scoprire la spiaggia più bella l’ultimo giorno di vacanza. E’ una tendenza della vita che ho riscontrato in molti campi dell’esistenza. Nel surf ad esempio. Puoi stare un mese a surfare decentemente onde incredibili, divertirti e compiacerti dei miglioramenti, ma sarà solo l’ultimo giorno del viaggio che riuscirai finalmente ad entrare in un tubo, o a fare quella curva perfetta, a sentirti finalmente in grado di fare quello che stai facendo. Non il 5° o il penultimo giorno, no, è sempre l’ultimo che ti convince a ricominciare la pantomima del lavoro dei risparmi e dei programmi per fare un altro viaggio e ricominciare per arrivare al prossimo ultimo giorno di nuovo. La spinta viene da li, dalla fine. Ironia.

Il marciapiede è sporco ma non si vede, la birra a metà, la gente tanta e tutta, a prescindere dai colori che emanano, sembra focalizzata sulle stesse cose la cui importanza mi sfugge in toto: piccioni e outfit. La birra è finita e io non sono il tipo che non si sposerà mai o quello che si sposerà prima o poi. Fino a ieri mi sarei rivisto più nel primo. Oggi questo mi importa quanto la decisione di quel tipo di avere scarpe e canotta dello stesso grigio, identico.

Il temporale è fermo, sono io ad essermi avvicinato, le nuvole sono così cariche contro l’azzurro ormai cobalto da far venir voglia di scagliare pietre e bucarle. Le decisioni prese negli ultimi anni, lavoro, amicizie trasferimenti ed eventuali matrimoni sono curiosamente legate ad una lezione impartitami da un signore anziano un’abbondante decina di anni fa. Lezione che pur avendomi lasciato basito già allora ha fermentato per anni nella mia testa, ed ho il sospetto che stia continuando a farlo. Come quei libri che ti si rivelano ancora anni dopo averli appoggiati da qualche parte.

Comunque: Isola d’Elba, scuola di vela, un posto privilegiatamente bello. Li erano vietate due sole cose: mangiare fuori pasto e intrattenersi nella camera delle ragazze al piano superiore. Nonostante l’impostazione semi militare della scuola non vigeva un rigore di disciplina, gli errori erano spiegati, perdonati risolti, tranne che per quelle due cose. Si poteva fumare per intendersi. Peccato che io non fumassi, avessi meno di 18 anni e iniziassi seriamente ad interessarmi a quei mostri sacri che non mi avrebbero mai più lasciato in pace per tutto il resto della vita, le donne. Non avevo ancora 18 anni molto probabilmente ne avevo meno di 16 ed ero grasso, non grassissimo ma abbastanza tondo e sempre affamato, fino a poco prima esclusivamente di cibo. Quella sera mentre, dividendo gocciole con Isotta scoprivo la natura di altri tipi di fame che per la solita ironia stavano proprio iniziando a divorarmi, entra in stanza, bussando Tommaso. Il figlio del capo anziano. Uomo per cui io nutrivo un rispetto completo (per quanto un ragazzino possa nutrire rispetto) anche prima di averlo visto bloccare a braccia tese un laser* lanciato a vele spiegate contro la spiaggia, con le gambe che sprofondate nella sabbia bagnata fino al polpaccio, lasciavano un solco d’aratro. Sul momento Tommaso mi ha detto di scendere e andare a dormire. Io sono sceso e mi sono buttato in branda, dopo essermi lavato i denti e aver sgranocchiato l’ultimo biscotto. La mattina dopo il compito prima dell’uscita era lavare e riarmare barche e vele. Noioso. Arriviamo alla spiaggia ci accoglie Pietro, il padre di Tommaso, con occhiaia e un mezzo sorriso ci dice che possiamo formare gli equipaggi ed uscire per la regata. Dice che quella notte era così incazzato con qualcuno che, non riuscendo a dormire aveva svolto lui il compito di tutti noi. Boom. E’ stata una cosa così silenziosa, umile e potente che faccio fatica a premere questi tasti.

Potrei dire di essere quasi arrivato, sono più i pensieri che i passi a farmi sudare. Questa città ha molti centri, questo, forse quello vero l’ho frequentato di meno. E’ sempre stato il centro del transito, passavo di qui per o dalla stazione, da o per l’aeroporto. Ha rappresentato nella mia geografia emozionale picchi importanti di libertà. Non vorrei denaturare quel ruolo per questa strada . Lo sto facendo andandomi a legare a qualcosa di opposto dalla libertà? Esclusi i vincoli dei pensieri sono “libero” di farlo, o no. In fondo è solo una cosa molto coraggiosa e parecchio romantica. E’ un gesto sovversivo sposarsi sapendo che quasi tutti i matrimoni falliscono

Accedo alla via del bar, stretta abbastanza da lasciare spazio a un marciapiede strettissimo da entrambi i lati. Ristoranti e negozi, altri bar, ma non quello che cerco e poi eccola li appoggiata alla ringhiera, su cui sono stato seduto ore a far finta di innamorarmi, a stuzzicare amici e sconosciute, a lavorare, a tradire e a non fare assolutamente nulla per poi innamorarmi sul serio, probabilmente proprio li una sera e proprio di lei.

Sta bene e facciamo abbastanza schifo da quanto siamo dolci, cerchiamo di mostrarlo poco. Però è difficile, ridiamo troppo. Le racconto i giorni trascorsi senza di lei. Mi soffermo sullo ieri sera.

Fuori con i nuovi colleghi ero molto incuriosito da uno particolarmente tirchio che aveva accettato volentieri qualche birra offerta, senza avere mai veramente intenzione di ricambiare. A cena ero deciso tra me e me di farglielo notare in qualche simpatico modo diretto, a fine cena, complici gli amari gli ho offerto la cena. Più incazzato con la mia coerenza che divertito dall’incoerenza uscendo ho trovato per terra esattamente la sua quota e la mia.

Marta sembra davvero divertita solo quando le racconto che comunque ce la siamo bevuta subito la piccola fortuna.

Lei deve andare dall’altra parte della città e le dico che l’accompagno volentieri, così in tram percorriamo insieme il cerchio di cui solo ho appena percorso il raggio.

A parità di persone effettivamente presenti, il numero delle persone è inversamente proporzionale all’attenzione che rivolgi alla persona con cui sei in compagnia. E’ Sabato, a Milano c’è il sole siamo in centro il tram è pieno, ma non c’è quasi nessuno.

E’ bellissimo perché non ho idea di come intavolare il discorso ma ho tutte le intenzioni di arrivare al punto. Le spiego nei dettagli cosa provo, compresa la storia della sua mia felicità. E’ felice e le racconto di come mi abbia chiamato proprio nel momento in cui stavo seriamente valutando l’idea di legarmi a lei con una promessa. Le spiego la storia degli amori passati, che realizzo solo mentre le sto parlando. Le rivelo di essere moto più pesante di quanto le possa sembrare; mi sto incazzando quando lei sembra voler rispondere ad una notifica del cellulare. Mi spiega che è la festeggiata, mi spiega che la festeggiata è una sua amica e lei alle amicizie ci tiene, mi ricorda di quanto la sua amica sia pazza e io non posso che ammettere che la sua dedizione all’amicizia è splendida. Dovendo lei andare ad un addio al nubilato e dovendo io andare solo a salutare gli amici stabiliamo che tengo io le chiavi, tornerò prima.

Il temporale si muove lento nella stessa direzione del tram, nessuno sta scagliando pietre e questo è un bene perché arrivati alla sua fermata scendiamo entrambi, ci baciamo e lei mi dice si.

Porta Venezia e Porta Genova non si assomigliano, la prima ha qualche hanno in più, li porta bene ma è decisamente più snob. La seconda si è lasciata da poco dopo una storia infinita con un brigante affascinante, ora sempre bella si è tagliata i cappelli e veste un outfit più radical chic.

Parto dalla prima per tornare alla seconda, a piedi per provare a capirci qualcosa.

Come sospettavo, il difficile non era la risposta era la domanda. Sono contento e terrorizzato, come se il giorno dopo la maturità qualcuno ti dicesse ehi: “vuoi fare il pilota? – Bene inizi domani”. Certo che lo voglio, ma come diamine si fa a pilotare?

Ormai ho attraversato la città 3 volte di cui due a piedi, sono arrivato in Darsena entro in birreria e degli amici sento più le pacche che gli aneddoti, ai tavoli c’è anche un addio al nubilato e ho come l’impressione che a breve odierò il tulle, più di quanto già non faccia.

Passano le ore e mi rendo conto che c’erano motivi per cui ho lasciato la città, motivi di cui non avevo idea e che scopro solo ora, motivi sottili ma sufficienti, mi piace,non mi manca.

Le birre incominciano ad essere tali da giustificare il mio di addio al nubilato ma mantengo una certa dignità, almeno fino a quando non finiamo in un centro sociale, la birra diventa vodka, perdo il cellulare e finalmente qualcuno le nuvole le ha squarciate perché piove come se non potesse essere altrimenti. Come se ne dipendesse della vita del pianta, come se il mondo non avesse fatto altro per tutto il tempo, come se l’unica cosa possibile fossero quei milioni di metri cubi d’acqua scagliati a frantumarsi al suolo, piove. Del telefono non c’è traccia, mi rendo conto di quanto sia tardi, di quanto Marta sia incazzata e uscendo dal postaccio lo trovo immerso in una pozzanghera che fino a 10 minuti prima non c’era, corro, zuppo.

Parallelo al naviglio che sfiora il marciapiede corro male fottendomene dell’acqua, la strada è deserta se non per qualche ombrello e qualche ombra nascosta sotto i balconi. Anche lei sarà sotto un balcone, incazzata perché non mi ha trovato a casa e la magia romantica del –si- ora sarà una scenata sulla mia allergia al tempismo, alle responsabilità. Non so perché le donne, anche mia madre l’ha sempre fatto, carichino di 5 o 10 anni in più l’età di chi fa una cazzata. Hai 25 anni e ha fallito un esame? Allora diventi un trentenne fallito. Hai 30 anni e hai lasciato la tua futura moglie fuori dal portone mentre eri al bar con gli amici? Sei un quarantenne irresponsabile. Mai capito, ma funziona, è avvilente. Correndo cerco di capire di quanto sono in ritardo, e cerco di calcolare come si faccia a calcolare un ritardo se non c’era un ora di appuntamento, ma sono troppo stanco ,ubriaco e in ritardo per risolvere un equazione così complessa, specialmente correndo sotto la pioggia. Vedo un tizio che conosco brandire un chupito e farmi cenno di fermarmi. Come lo vorrei, sono certo che in quei cl ci sia la risposta che vado cercando da questa mattina, una farmacia mi suggerisce che è quasi mezzanotte, il che significa che non è tardi per nulla. Non penso sia legale tornare da un addio al nubilato a Milano un Sabato prima che sia Domenica. Il messaggio di Marta però era chiaro: “Dove cazzo sei”?

Non mi fermo, ormai sono un uomo responsabile, accelero se fossi Neo le gocce mi eviterebbero, ma sono Jhon e mi centrano in pieno anche quelle totalmente fuori traiettoria. Arrivo e lei così universalmente carina, comprensiva e leggera ora è il giudizio. Io ho le mie colpe: ho perso il cellulare e piove. Lei ha le sue ragioni: è donna. Apro il portone e non dice nulla, assordante perché elimina tutte le premesse del dolce rotolarsi nudi. I capelli non sono raccolti in una coda, ma l’umore è palese lo stesso. I suoi capelli sono asciutti, io fradicio, lei è incazzata io triste, pigio il tasto del terzo piano, la guardo e sorrido perché capisco la lezione di Pietro, non sono le colpe che abbiamo, le circostanze e le giustificazioni, non sono i sotterfugi e le scorciatoie, gli istinti. Tutto ruota attorno al dispiacersi per gli altri e al gioirne. Stimavo e volevo bene al signore della scuola di vela, non lo volevo deludere, ero dispiaciuto per il dispiacere che gli avevo causato, non è una colpa essere acciecati dall’egoismo della fame e dell’ormone, degli amici e delle circostanze, tutto ruota semplicemente attorno al farci caso al tenerci, sbagliare e ricominciare abbastanza coraggiosi da finirla se non ne vale la pena, abbastanza coraggiosi da persistere anche se è difficile. Diminuirsi per il bene altrui, anche senza sapere che lei farà lo stesso. Con tutte le delusioni e le sofferenze inflitte a mia madre so di non aver modo di ripagarla se non essendo felice, redimire le sofferenze inflitte con la propria felicità, è un egoismo al contrario, credo si chiami amore. Più difficile di un tiro ad effetto, potente come una speranza sposarsi è promettere di farci caso, questo e un sacco di sbattimenti, insormontabili se non si impara presto che su un ascensore, se lei è incazzata non bisogna sorridere.

Zitto

A 16 anni avevo una professoressa di religione ricordo che mi faceva un po’ pena.
Ora a 36 anni so di aver imparato qualcosa anche da lei.
Chi vuole intendere intenda, per tutti gli altri invece:
ne avevo un’altra carina, si atteggiava un po’ persino e non sapeva nulla, anche da lei ho imparato qualcosa.
Suggerirei di ascoltare tutto ciò che si ha la fortuna di ascoltare.

2Febbraio2019

>∆Mi piacciono le birre e i libri.
Entrambi votati ad una certa sete; entrambi abili a soddisfare il bisogno ma incapaci di estinguerlo. Alleviato il fastidio aumentano la necessita’ del loro piacere.

<πQualunque causa necessita di coraggio, forza e convinzione, ma perde di ragionevolezza se privata del dubbio. Non che la ragionevolezza abbia tutta questa importanza in una rivoluzione, in un’ideologia, ma se privata del dubbio diventa masso che rotola. Per la fede e’ diverso, credo e la dice giusta Jovanotti che crede nel piccolo prete di periferia che va avanti nonostante il Vaticano.

>¶Alle medie nei temi era segnato errore il “secondo me” perche’ scontato data la firma del compositore. Forse errore stilistico, forse umile zelo.

>¶∆Entrambi i libri e la birra portano con se una certa non lucidità,’ ammirata nei primi biasimata nella birra. Ma secondo me certe lucidità’ si palesano solo in certi stati di non sobrietà’.

>πNiente e’ sobrio nel sesso, in una tempesta, in Achab, nel Conte del Monte, un po’ piu’ sobrio il Cirano, dubbio: non niente e’ sobrio ma non tutto lo e’.

>¶π∆Con i libri non intendo solo la letteratura con la birra non intendo solo la birra.

Auguri.

Ieri mi sono fatto ammare

Il Venerdi’ non sarebbe tale senza il Lunedi

E’ necessario ringraziarli entrambi,

non sarebbe bello esagerare se non fosse bello anche risparmiare,

pensieri, cose, invece di prendere la macchina a piedi e camminare.

Entrato in un bar sono stato io a vederla.

Presa la birra ho continuato a guardarla,

anche quando sono uscito ho continuato a volerla,

ma lei era dentro e io ero fuori, le davo le spalle,

le avrei dato tutto.

E’ uscita anche lei e non si scherza con il cielo

anche se un poco il cielo ci scherza,

cosi’ ho sorriso e le ho salvato la vita perche’ avrei anche potuto non farlo,

ma lei, che avrebbe gestito comunque non avrebbe gestito cosi’

cosi’ con io che la amo, cosi’ che io la capisco cosi’ che

quasi sempre puoi quasi sempre scegliere,

puoi essere felice oppure sarei

morto

invece

mi sono fatto ammare.

Ieri mi sono fatto mare:

una ragazza mi ha sorriso, ero solo con un cane,

sono entrato e lei ha ribadito, in un locale dove vivo lei ha sorriso,

ancora.

Ho sorriso anche io ma io ho sorriso torvo,

presa la birra sono uscito e non l’ho guardata seguirmi,

bevuta la birra non l’ho ascoltata parlarmi, ma ho risposto;

Enzo.

Ho sorriso meno torvo quando le ho visto il culo,

poi mi sono pensato fiume ma sono diventato mare.

Perche’ il fiume scorre il mare e’.

Cela


Sobrio una notte guardi il cielo che sobrio non è ma che vuoto di un caos cela il mistero che da molti anni luce già c’era,
e tu ieri, oggi, domani cerchi.
Come quando una notte non sobrio al mare ti getti e il baccano diventa il silenzio, che silenzio non è,

ma il mistero che li immerso pensavi cercassi,

ti ha finalmente trovato.